Ecco un’altra tra le carte accumulate sulla mia scrivania, un “decalogo” che indica lo stile di vita che si addice ad un sacerdote secondo il pensiero di don Primo Mazzolari. I dieci inviti sono tratti infatti dagli scritti di don Primo.
IL DECALOGO DEL PRETE SECONDO DON MAZZOLARI
Primo. Il prete dev’essere un galantuomo, ossia possedere le virtù umane della sincerità, della lealtà, della schiettezza. Due difetti opposti: trascuriamo la natura della formazione del candidato al sacerdozio, o, al contrario, diamo troppa importanza ai mezzi naturali. La grazia non uccide la natura; la trasforma, la usa, rendendo più fecondi, e d’una fecondità superiore, quei doni stessi naturali, che sono grazie incipienti. L’esempio viene da Gesù. E’ figliuolo di Dio, ma anche figliuolo dell’uomo. Gesù pregava, lavorava, si nutriva, soffriva, si riposava: erano queste azioni umane che mostravano come nostro Signore era veramente uomo: oserei dire che nessuno è stato uomo quanto lui, perché la sua natura umana era di una incomparabile perfezione (Primo Mazzolari, Preti così, pp. 123-124).
Non si può costruire il piano soprannaturale se manca il primo.
Secondo. Il prete dev’essere ilare e solare, perché nella Messa rappresenta Cristo non solo crocifisso, ma risorto. E’ stato scritto che don Mazzolari parlava sempre come se avesse “un nodo alla gola e portasse su di sé i disagi della povera gente, che oltre a sentire gli stimoli della fame, spesso non ha neanche gli stimoli del soprannaturale, che l’aiuti a sopportare il suo calvario” (R. Esposito). Ogni volta che celebra l’Eucaristia il sacerdote si stende sulla croce con Cristo. Ma don Primo non portava in giro la faccia da funerale. Aveva viva la dimensione conviviale, fraterna, gioviale. Quando un prete in difficoltà arrivava al suo presbiterio, gli offriva tutta la mattinata e poi lo teneva a pranzo, riservandogli una bottiglia di quello buono. A tavola con lui si stava allegri, ma non si aveva certo la voglia di raccontare battute salaci o barzellette osè.
Terzo. Il prete dev’essere infinitamente misericordioso con i più grandi peccatori, senza mai tradire i principi. La Chiesa militante non può mai essere accomodante e tanto meno dormiente. “A Cristo è stata data l’umanità. L’incorporazione in Cristo va al di là della Chiesa. Noi, facilmente, facciamo categorie: i buoni, i cattivi, i nostri, i non nostri… I più cattivi devono essere i più nostri. Cristo ha sete di questi” (Ibidem, p. 35).
Quarto. Il prete deve studiare non tanto i libri polverosi e sbadiglianti dei dotti teologi, ma soprattutto deve leggere il continente dei poveri. Uno scopaio di Cicognara mi diceva: “Voi preti siete della buona gente, ma non sapete cosa voglia dire fame“. Don Mazzolari precisa: “Ci sono preti che si denudano per i poveri: e sono i preti più santi. E’ meglio un altare di meno, ma più carità. La carità è ancora una delle testimonianze più accettate della divinità della Chiesa. Sappiate: nessuno fermerà il comunismo se non la Chiesa, superando con animo grande l’egoismo di ogni colore. Questo ve lo dico in nome di Cristo e del segno luminoso del dolore umano” (Ibidem, p. 107).
Quinto. Il prete non deve scoraggiarsi dei propri errori. “I santi non sono quelli che non sbagliano mai, ma quelli nei quali gli sbagli non superano il bene. Se non volete mai sbagliare, fatevi chiudere fra quattro assi e portare al cimitero”. (Ibidem, p. 105).
Sesto. Il prete dev’essere nudo d’ogni ricchezza. Diceva un laico ad un religioso: “Il vostro voto di povertà è voto di sicurtà perché non vi manca mai il pane sulla tavola”. Commenta don Primo: “Il sacerdote di oggi mangia alla tal ora, recita l’Ufficio alla tal altra, tiene la sedia imbottita di quel tal colore a quel tal posto. La gente ha paura ad entrare in una canonica troppo bella, teme di sporcarla, di portare disordine” (Ibidem, pp. 104-105).
Settimo. Se il prete sale sul pulpito, non deve salire sul cavallo alato dell’eloquenza dotta e incomprensibile! Quando il predicatore grida, si sbraccia, tira il collo all’eloquenza, usa il linguaggio teologico, la gente sbadiglia e dice: “Parla molto bene quello lì…”. Ma il linguaggio non entra. Gli uomini sono capaci di voltar le spalle a metà predica. Teniamo a mente che su cento parole che diciamo la gente ne intenderà cinque” (Ibidem, p. 87). Don Mazzolari avrebbe sottoscritto volentieri la frase scultorea di quell’altro grande prete, don Milani: “Chi parla difficile è nemico del popolo”. E Hans Kung talora ha torto, ma ha certo ragione quando afferma: “Chi scrive difficile è fuori del vangelo”.
Ottavo. Il prete dev’essere tollerante, non spegnere mai il lucignolo fumigante né spezzare la canna fragile. “Gesù non ha mai chiamato nemico nessuno, neppure Giuda: ‘Amico, perché sei venuto?'”. Forse sul nostro vocabolario abbiamo fatto troppo uso di termini guerreschi. San Paolo, che aveva un temperamento bellicoso, diventa amabilmente materno con gli altri. L’attitudine giusta è quella eucaristica: la realtà che non appare. Cristo come è venuto? Ha nascosto la sua divinità. Nell’Eucaristia si presenta nel nascondimento, nella amabilità più assoluta” (Ibidem, pp. 75-76). Il metodo della libertà è insuperabile. “Non fate gli accalappiacani. Nella carità, nella libertà si convertono le anime” (Ibidem, p. 79).
Nono. Il prete è il servitore di tutti. “Il ministero è servizio. E’ assurdo che il padrone si pieghi alle voglie dei suoi servi. Dio è il padrone ed è nel nostro popolo. E volete, allora, che il nostro popolo, che è il padrone, si adatti a noi? … Quando il prete soffre e il popolo sta bene, allora comincia l’era felice” (Ibidem, p. 102, 104).
Decimo. “Tutti se la prendono con il prete. I fascisti, i tedeschi, i comunisti, i partigiani ne hanno fucilato più di trecento. Nessun parroco ha raccattato da terra le pietre o le pallottole per rilanciarle ai nemici. A tutti i nemici più feroci il sacerdote dà l’appuntamento sulla montagna del calvario” (P. Mazzolari, I preti sanno morire, passim).
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