A mio parere l’autore del seguente racconto, chiunque egli sia, avrà voluto fare qualche riferimento velato ai personaggi ideati dallo scrittore G. K. Chesterton in alcuni suoi racconti (penso per esempio a “Manalive” del 1912, racconto scritto tra l’altro ben prima che lo scrittore entrasse nella Chiesa cattolica, cosa che è avvenuta nel 1922, per cui l’opera si può considerare a pieno titolo scritta da uno “scrittore laico”). L’autore del presente racconto non avrà lo stesso estro artistico o la stessa facezia di Chesterton, ma credo che in ogni caso i punti toccati possano essere spunto di riflessione interessante.
Rev. John R. D’Orazio
La sciata del Reverendo White e del Professore Sophis
(ossia una riflessione su cattolicesimo e istituzione universitaria)
Tirava un vento freddo mentre gli sciatori si preparavano per le prime salite mattutine sulle colline innevate. Un freschissimo e soffice manto bianco aveva ricoperto le montagne quella stessa notte. Già i più mattinieri stavano iniziando a salire le piste, per tracciare come dei pionieri dei sentieri che altri avrebbero potuto ricalcare effettuando con più facilità le discese. Mentre il freddo gelido e il bianco imperante potevano in altri contesti prestarsi a creare sentimenti di squallore in mezzo ad una natura selvaggia, in questa occasione invece accentuavano una sensazione di freschezza e di bellezza. Tra gli sciatori “pionieri” si trovava un sacerdote cattolico, dal nome di Reverendo Innocent White, che non riusciva a rinunciare al breve soggiorno in montagna per ritemprare il corpo con le esilaranti discese tra i boschi. Chiaramente nel contesto disteso e sportivo di questa attività, si vestiva con un abbigliamento adeguato, sebbene la sua identità risultava così celata, se non fosse per i capelli bianchi e gli occhi sereni che spesso lo tradivano, quasi che l’appellativo “sacerdote” gli fosse stampato in fronte. Mentre stava salendo sulla seggiovia per iniziare la salita verso le alte cime, un altro coraggioso sciatore si fece avanti con la stessa intenzione di essere tra i primi a toccare quella neve di fresca caduta. Al reverendo gli sembrava di riconoscere qualcosa di familiare nel compagno fortuito di sciata… Tuttavia dopo i primi convenevoli nel tentativo di coordinarsi tra di loro per posizionare gli sci in modo da poter tirare giù la sbarra di sicurezza, si mise a commentare la qualità della nevicata della notte precedente. La loro conversazione continuò fomentando l’uno nell’altro un sentimento di orgoglio per essere loro tra i primi a tracciare un sentiero sulle piste quel giorno. Diventava un motivo di vanto il fatto di inaugurare le discese. A un certo punto però il compagno di sventura del nostro Reverendo White lo guardò meglio, e dopo una brevissima pausa di riflessione esclamò perentoriamente: “Mi dica avventuriero, ma non sei tu per caso il reverendo che bazzica per i corridoi della nostra istituzione universitaria? Almeno mi sembra di averLa intravisto da quelle parti…” A queste parole tornò subito in mente al reverendo chi poteva essere il suo fortuito compagno di sventura e replicò: “Perbacco mi sembrava di riconoscerti, insegni un corso di filosofia se non mi sbaglio?” Difatti il compagno di seggiovia era un professore di filosofia, ed aveva la cattedra proprio a quella stessa università presso la quale il reverendo svolgeva il suo servizio pastorale. Il professore si chiamava Cyrus Sophis, e si dedicava nella vita alla conoscenza e all’insegnamento delle scienze filosofiche antiche. Ma nemmeno lui disdegnava di prendersi per qualche giorno all’anno una boccata di aria fresca, sfidandosi con le avventure che la montagna presentava. Rispose il professore con aria compiaciuta, “Non solo insegno un corso, coordino tutti i corsi, se permetti. Io però qualche osservazione avrei da farla.” La voce del professore divenne improvvisamente meno gioviale, più solenne. L’atmosfera di avventura che aveva connotato i loro discorsi fino a quel momento cominciò ad affievolirsi, e la faccia del professore assunse tratti alquanto severi.
Professore Sophis: Mi deve spiegare una cosa… come La posso chiamare? Reverendo, Monsignore, Padre…
Reverendo White: Mi chiami pure avventuriero, non mi dispiace.
Professore Sophis: Allora La chiamo Reverendo. Non capisco sinceramente perché la Chiesa cattolica come istituzione religiosa abbia tutto questo interesse per le Università che sono istituzioni laiche.
Il Reverendo White notò lo sguardo inquisitorio del professore, mantenne però la sua solita giovialità e serenità, e dopo una breve pausa di riflessione tentò di riformulare il quesito del professore.
Reverendo White: Facciamo un passo indietro per capire il terreno sul quale stiamo mettendo i piedi. Per quale motivo chiunque dovrebbe interessarsi alle università? Ecco, qual’è la finalità dell’università? Se l’Università si pone come luogo che custodisce e trasmette il sapere umano, e come luogo utile a formare i giovani e aiutarli a specializzarsi in vista di una professionalità che li permetta di dare un contributo significativo alla società, allora abbiamo una base da cui partire per il nostro quesito. Possiamo riformulare la domanda, e chiedere adesso: per quale motivo la Chiesa cattolica si interessa della custodia e della trasmissione del sapere umano, e della formazione dei giovani in vista di una professionalità? Allora posto così, direi che con uno sguardo storico possiamo iniziare a capire il rapporto tra la Chiesa e il sapere umano.
Per prima cosa, direi che non si può trascurare questo punto di partenza: ossia il rapporto tra Chiesa e vangelo, l’annuncio della notizia che il Dio di Gesù è un Dio vivente che si interessa all’umanità e che ha mandato suo Figlio nel mondo per salvare e dare vita eterna. Tu mi dirai, questo che c’entra con il sapere umano. Ebbene, mentre il primario interessamento della Chiesa è quello di recepire questo messaggio di salvezza e trasmetterlo alle generazioni future, trovo significativo che tra i primi ad effettuare questa opera c’era Paolo di Tarso, che educato alla scuola di Gamaliele e convertito poi al cristianesimo, nell’atto di annunciare nell’Areopago di Atene la notizia della risurrezione di Gesù proclamandolo così Figlio di Dio, mette a confronto l’annuncio del vangelo con i detti dei poeti greci e con le usanze locali (l’altare pagano dedicato al “Dio Ignoto”). Questo discorso di Paolo all’Areopago è un esempio primitivo di interesse della Chiesa cattolica per il sapere umano. Nell’annuncio del vangelo, Paolo e poi la Chiesa non disdegnano la cultura e il sapere umano ma li mette a confronto, prende quello che di buono e di positivo c’è nella cultura alla quale si rivolge e dimostra che, alla fine dei conti, hanno lo stesso interesse di fondo: la ricerca della verità. Paolo ha espresso il suo pensiero apertamente nella piazza dell’Areopago. E’ stato deriso da alcuni quel giorno quando ha parlato della risurrezione dei morti, ma è stato ascoltato con attenzione da un certo Dionigi oltre che da una certa Damaris che si trovavano quel giorno tra la folla degli scienziati di Atene. E lo stesso Dionigi è diventato poi un altro esempio di interesse della Chiesa cattolica per il sapere umano: infatti a lui che era giurista e giudice dell’Areopago si ispira uno scrittore antico proficuo di qualche secolo più tardi che ha usato il suo nome quando produsse una vasta collezione di scritti di natura mistica e filosofica di stampo neoplatonista (pseudo-Dionigi Areopagita). Così anche Giustino filosofo (sec. II) che fu educato nel paganesimo frequentando molte scuole filosofiche, dagli stoici alla scuola peripatetica alla scuola pitagorica e infine la scuola platonica. Dopo essersi convertito al cristianesimo aprì a Roma una scuola filosofica di stampo cristiano. Giustino non disdegna nemmeno lui il sapere degli antichi filosofi, ma lo valorizza trovando nel messaggio cristiano un completamento alla sua ricerca della verità su Dio e sul mondo. Giustino apprezza tutto ciò che di buono c’è nella cultura e nel sapere umano, parlando dei “semi del Verbo eterno sparsi nel mondo”. Ha cercato di tradurre in termini filosofici l’annuncio cristiano, in modo che fosse più comprensibile agli “scienziati” del suo tempo.
Nei secoli ha continuato l’amore della Chiesa per il sapere umano. A partire dal sec. V-VI infatti i monasteri in occidente diventarono luogo di conservazione della cultura e del sapere antico. Pensiamo a Cassiodoro e a Boezio. Oltre a tramandare il pensiero cristiano patristico, a partire soprattutto dal periodo delle Crociate i monasteri aiutarono a riscoprire il sapere degli antichi filosofi. Senza il contributo dei monaci che hanno preservato questi codici (che sembrano essere pervenuti in occidente per opera di qualche soldato crociato che li ha saccheggiati da qualche biblioteca in oriente) ricopiandoli a mano e custodendoli nelle biblioteche, oggi avremmo a disposizione molto di meno del patrimonio di pensiero dell’umanità. Ci mancherebbe un pezzo importante dello scibile umano nel suo percorso storico. I monasteri diventarono sede di studio, di ricerca, e di insegnamento su una grande varietà di discipline. I monaci si specializzarono nelle ricerche in ambito di medicina (pensiamo ai contributi di Ildegarda di Bingen all’inizio del sec. XII), di filosofia (pensiamo ad Agostino d’Ippona sec. IV-V che mette in dialogo la fede cristiana con il pensiero di Platone, pensiamo all’interesse di Alberto Magno nel sec. XIII per Aristotele oltre che per Dionigi Areopagita), di scienze naturali, di logica e matematica e geometria… Pensiamo alla Scolastica che definisce la metodologia di ricerca ed insegnamento del sapere umano e di quello cristiano, suddividendo tra il Trivio e il Quadrivio: da Alcuino di York e Giovanni Scoto Eriugena con la “schola Palatina” in epoca carolingia, insieme con Rabano Mauro, ad Anselmo d’Aosta e Pietro Abelardo nel sec. XI… La storia è talmente ricca che qui in poche parole è pur difficile riassumere lo stretto rapporto che c’è stata nella storia tra la Chiesa cattolica e lo studio / insegnamento del sapere umano. Quando poi nascono le prime università, la Chiesa cattolica non è assente: già nel sec. X nasce l’Università di Parma per lo studio del diritto, con decreto dell’Imperatore Ottone I conferito al vescovo di Parma. Nei secoli a seguire, con la nascita delle università “laiche”, i Papi hanno continuato a sostenere e contribuire allo sviluppo delle istituzioni accademiche. Penso per esempio al dono che Papa Benedetto XIV fece all’Università di Bologna nel sec. XVIII per favorire il nuovo Istituto di Scienze fornendo la sua biblioteca. Le università di Parigi e di Oxford si distinguevano per lo studio della filosofia e della teologia. Anche in epoca moderna la Chiesa cattolica continua nella sua opera di preservare il sapere umano con delle proprie istituzioni universitarie, che si specializzano nell’insegnamento oltre che della teologia cristiana, anche della filosofia, della psicologia, delle scienze dell’educazione, delle scienze della comunicazione, il diritto e la giurisprudenza, la letteratura e l’arte, ecc. ecc.
E se oltre a questa storia di dialogo e confronto tra il pensiero della Chiesa che annuncia il vangelo e il pensiero filosofico umano, andiamo a considerare anche la preoccupazione umanitaria della Chiesa che ha fatto nascere nei secoli istituzioni quali ospedali, banche, scuole, allora direi che la Chiesa si preoccupa anche della promozione umana, della scolarizzazione e della professionalità. Penso all’Enciclica di Papa Paolo VI nel 1967 intitolata “Populorum Progressio” nella quale esplicita qual è la preoccupazione della Chiesa cattolica per lo sviluppo sociale e in che modo lo sviluppo sociale rientri nella sua stessa vocazione nel mondo:
«Oltre le organizzazioni professionali sono altresì all’opera le istituzioni culturali, il cui ruolo non è di minor peso per la riuscita dello sviluppo. “L’avvenire del mondo sarebbe in pericolo, afferma gravemente il Concilio, se la nostra epoca non sapesse far emergere dal suo seno uomini dotati di sapienza”. E aggiunge: “Numerosi paesi economicamente poveri, ma ricchi di sapienza, potranno dare un potente aiuto agli altri su questo punto”. Ricco o povero, ogni paese possiede una sua civiltà ricevuta dalle generazioni passate: istituzioni richieste per lo svolgimento della vita terrena e manifestazioni superiori – artistiche, intellettuali e religiose – della vita dello spirito. Quando queste contengono dei veri valori umani, sarebbe grave errore sacrificarle a quelle.»
Tenendo conto pertanto della preoccupazione sociale della Chiesa per lo sviluppo della persona umana, oltre ad avere istituzioni universitarie proprie, la Chiesa continua a sostenere e ad incoraggiare le istituzioni universitarie laiche. Nel Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1983, leggiamo:
«Can. 807 – È diritto della Chiesa istituire e dirigere università di studi, che contribuiscano ad una più profonda cultura degli uomini e a una più piena promozione della persona umana e altresì ad adempiere la funzione d’insegnare della Chiesa stessa.
Can. 813 – Il Vescovo diocesano abbia una intensa cura pastorale degli studenti, anche erigendo una parrocchia, o almeno per mezzo di sacerdoti a ciò stabilmente deputati, e provveda che presso le università, anche non cattoliche, ci siano centri universitari cattolici, che offrano un aiuto soprattutto spirituale alla gioventù.»
Ecco che è proprio nella natura stessa della Chiesa cattolica oltre che nella sua storia da sempre, il fatto di interessarsi alle istituzioni accademiche e universitarie e ad avere una presenza, attraverso i sacerdoti cappellani, di accompagnamento e dialogo per studenti e docenti. Questo interessamento rientra nella sua stessa vocazione ed è volta a valorizzare l’istituzione universitaria come veicolo di promozione umana e di custode del patrimonio culturale dell’umanità.
Professore Sophis: Però il principio del laicismo vuole che non ci sia ingerenza da parte degli organi ecclesiali nelle istituzioni civili. Una presenza ecclesiale in un’università statale rischia di minare la sacrosanta libertà dell’istituzione universitaria all’autodeterminazione.
Reverendo White: Credo che ci sia da capire se la pensiamo così differentemente su certi principi. Vorresti sottolineare per esempio il valore del “laicismo”. Concordo che il laicismo (sebbene preferisco dire “laicità”, che si riferisce semplicemente allo stato di essere istituzione laica, rispetto a “laicismo” che potrebbe fraintendersi come ideologia, similmente ad altri “-ismi” che tendono a riferirsi a dei pensieri portati all’estremo della razionalità sia in ambito politico sia in ambito filosofico, oppure a degli atteggiamenti e comportamenti ossessivi: comunismo, marxismo, nazismo, razzismo, autoritarismo, paternalismo, populismo, capitalismo, scientismo, devozionalismo… Mi piace ricordare a questo proposito lo scritto della filosofa tedesca di origine ebraica Hannah Arendt sulle “Origini del Totalitarismo” del 1951), ecco dicevo concordo che la laicità sia un valore da salvare. E guai se ci sono ingerenze religiose. E non mi sembra nemmeno di dare la zappa sui piedi a dirlo. Difatti Gesù stesso era un laico rispetto alla società nella quale viveva: non era un sacerdote, non era un rabbino, non era un fariseo, non ricopriva un ruolo di rappresentanza religiosa. E sempre Gesù ha confermato il principio di separazione tra le competenze della sfera religiosa e della sfera politica con la frase iconica “Date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio” e ancora quando afferma che il suo regno “non è di questo mondo”. Se per un certo periodo la Chiesa ha avuto un potere temporale, ciò era dovuto al crollo del potere temporale della società: con il crollo dell’impero romano i monasteri si sono ritrovati ad essere i punti di riferimento per il lavoro contadino e la Chiesa ha sorretto la società in declino con le sue istituzioni. Per secoli la Chiesa cattolica ha provveduto scuole, ospedali, banche e varie istituzioni che hanno tramandato il sapere umano e hanno favorito lo sviluppo sociale. Quando poi questo potere temporale è stato sottratto con la breccia di Porta Pia e l’occupazione dello Stato Pontificio, il futuro Papa Montini ebbe modo di affermare in seguito di non avere “alcun rimpianto, né alcuna nostalgia, né tantomeno alcuna segreta velleità rivendicativa” per la perduta sovranità temporale e addirittura ringraziò la Divina Provvidenza per i cambiamenti avvenuti in seguito ai fatti del 1870. Pertanto oggi come agli inizi del cristianesimo, la Chiesa cattolica torna a ribadire il valore della laicità. Tutto sta a definire allora quale debba essere la presenza della Chiesa e come si debba gestire il rapporto tra Chiesa e Stato, tra istituzioni ecclesiali e istituzioni laiche. Mi piace ricordare le riflessioni di Alexis de Tocqueville che dopo un suo viaggio negli Stati Uniti scrive della “Democrazia in America” (1835-1840), ha osservato con ammirazione la fioritura della religione in questo paese attribuendola alla giusta separazione tra Chiesa e Stato. Una separazione che significa anche che non ci debba essere ingerenza dello Stato nella sfera religiosa, la Chiesa deve avere il diritto all’autodeterminazione così come lo Stato. Mentre non è compito della Chiesa dettare leggi civili o determinare le scelte politiche di un paese, non per questo la religione può essere relegata alla sfera privata. Lo stesso Tocqueville, da laico, e promotore della laicità, vedeva nella stessa religione una condizione sine qua non di libertà: “se la religione non li dà il gusto della libertà, in ogni caso ne facilita l’esercizio”. Ecco, la religione è da considerare una condizione necessaria per l’esercizio della libertà, non un ostacolo alla libertà. Almeno così per questo pensatore laico, ideatore della stessa “laicità”. Tocqueville ammira il ruolo morale della religione nella società, dicendo che “allo stesso tempo che la legge assicura al popolo americano il diritto di fare di tutto, la religione li impedisce di concepire un qualsiasi comportamento e li preserva dall’osare di fare qualsiasi cosa”.
In un discorso ai parlamentari del 2006, Papa Benedetto XVI ribadisce il contributo benefico che la presenza della Chiesa cattolica nella sfera pubblica comporta per la società e per la stessa democrazia:
«Il vostro sostegno al patrimonio cristiano può inoltre contribuire in modo decisivo alla sconfitta di una cultura che ora si è diffusa chiaramente in Europa e che relega alla sfera privata e soggettiva la manifestazione delle proprie convinzioni religiose. Le politiche fondate su questa base non implicano solo il ripudio del ruolo pubblico del cristianesimo, ma più in generale escludono l’impegno nella tradizione religiosa dell’Europa, estremamente chiara nonostante le sue varietà confessionali, diventando una minaccia per la democrazia stessa, la cui forza dipende dai valori che promuove (cfr. “Evangelium vitae”, 70).
Visto che questa tradizione, proprio nella sua cosiddetta unità polifonica, trasmette valori che sono fondamentali per il bene della società, l’Unione Europea potrà vedersi solo arricchita dal suo impegno con essa. Sarebbe un segno di immaturità, o anche di debolezza, opporvisi o ignorarla, anziché dialogarci. In questo contesto, bisogna riconoscere l’esistenza di una certa intransigenza laicista che è nemica della tolleranza e di una sana concezione laica dello Stato e della società.
Per questo, mi compiaccio del fatto che il Trattato Costituzionale dell’Unione Europea preveda un rapporto strutturato e continuo con le comunità religiose, riconoscendo la loro identità e il loro contributo specifico. Confido nel fatto che l’effettiva e corretta applicazione di questo rapporto inizi ora con la cooperazione di tutti i movimenti politici indipendentemente dalle posizioni di partito.
Non bisogna dimenticare che, quando le Chiese o le comunità ecclesiali intervengono nel dibattito pubblico, esprimendo riserve o ricordando principi, non stanno manifestando forme di intolleranza o interferenza, perché questi interventi cercano unicamente di illuminare le coscienze, affinché le persone possano agire liberamente e con responsabilità, in base alle autentiche esigenze della giustizia, anche se questo può entrare in conflitto con situazioni di potere e di interesse personale.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l’interesse principale dei suoi interventi nella vita pubblica si centra sulla protezione e sulla promozione della dignità della persona…»
Ecco quindi che posso dire con tutta convinzione che la Chiesa vuole valorizzare la laicità, ma senza per questo cadere in un laicismo che rischia di venire meno allo stesso principio di tolleranza che vorrebbe impartire alla società, o che rischia di minare la stessa democrazia e esercizio della libertà che poi sono valori oggi presenti anche grazie al contributo della Chiesa (penso al discorso radiofonico di Papa Pio XII nel 1944 in cui elogiava la democrazia come la forma di governo più adeguata ai nostri tempi).
Professore Sophis: Concedo che esista il diritto della Chiesa alla libertà di espressione, siamo in un paese democratico. Ma per quanto questo principio sia giusto e non negoziabile, non si concilia molto bene all’interno di un’istituzione quale quella universitaria che ha un suo programma di professionalità e scientificità. I singoli schieramenti politici, ideologici o confessionali rischiano di minare la neutralità e la professionalità di un’istituzione che si pone al di sopra dell’opinionistica con un sapere scientifico affermato.
Reverendo White: Mi sembra di capire che una prima tua preoccupazione sia quella di mantenere quella che chiami “neutralità”. Mantenere la neutralità significa non favorire una posizione rispetto ad un’altra. Da una parte mi chiedo però quanto sia possibile essere del tutto “neutri” soprattutto quando si tratta di questioni delle materie umanistiche. Quando si toccano questioni etiche del comportamento umano, ci sarà sempre un pluralismo di approccio. Allora distinguerei tra l’essere parziali e l’essere faziosi. Non so quanto sia possibile essere imparziali su alcune tematiche, bisogna però cercare perlomeno di non essere faziosi! Quando si tratta di parlare del “bene” e del “male” per l’uomo, non si può essere imparziali mettendo “bene” e “male” sullo stesso piano. Se l’istituzione universitaria è volta alla promozione umana, allora sarà dedita alla ricerca del bene dell’uomo, e non potrà mettere bene e male allo stesso livello. Pertanto oltre a parlare di “scientificità” bisogna anche parlare di “promozione umana”. Bisogna chiedersi non soltanto quanto un incontro che avviene all’interno dell’istituzione, o che viene comunque annunciato all’interno dell’istituzione, abbia un carattere scientifico, ma anche quanto sia volto ad una promozione umana.
Dal momento però che togli la voce ad una delle due (o delle tante) posizioni su l’una o l’altra questione, ecco che stai già favorendo l’altra (o le altre) posizioni… E già viene meno la neutralità. A quel punto bisognerebbe o togliere la voce a tutti, oppure ascoltare la voce di tutti.
Per comodità, la via più facile è quella di togliere la voce a tutti. Farei però un’altra osservazione, che togliendo la voce a tutti viene meno il dialogo e il confronto. Condizione dello stesso avanzamento culturale è il dialogo e il confronto. Anche nella ricerca scientifica sperimentale è fondamentale il confronto con gli altri scienziati e con le loro ricerche e i loro esperimenti. Senza dialogo o ascolto dell’altro, non c’è arricchimento culturale. Neutralità non significa ridursi ad un solo possibile pensiero, ma accettare il pluralismo della realtà.
Mi piace a questo proposito ricordare le parole di Papa Francesco nella sua visita all’Università Roma Tre il 17 febbraio 2017:
«E l’Università può essere anche luogo in cui si elabora la cultura dell’incontro e dell’accoglienza delle persone di tradizioni culturali e religiose diverse. Nour, che proviene dalla Siria, ha fatto riferimento alla “paura” dell’occidentale nei confronti dello straniero in quanto potrebbe “minacciare la cultura cristiana dell’Europa”. A parte il fatto che la prima minaccia alla cultura cristiana dell’Europa viene proprio dall’interno dell’Europa, la chiusura in sé stessi o nella propria cultura non è mai la via per ridare speranza e operare un rinnovamento sociale e culturale. Una cultura si consolida nell’apertura e nel confronto con le altre culture, purché abbia una chiara e matura consapevolezza dei propri principi e valori. Incoraggio pertanto docenti e studenti a vivere l’Università come ambiente di vero dialogo, che non appiattisce le diversità e neppure le esaspera, ma apre al confronto costruttivo. Siamo chiamati a capire e apprezzare i valori dell’altro, superando le tentazioni dell’indifferenza e del timore. Non abbiate mai paura dell’incontro, del dialogo, del confronto.»
Addirittura arriva a dire, nel discorso tenuto a braccio: «Dove non c’è dialogo, c’è violenza» Ecco il ruolo della Chiesa cattolica nei confronti dell’Università, una presenza che favorisce il dialogo e il confronto anche tra le varie discipline all’interno dello stesso ateneo. Una presenza che incoraggia e facilita uno spirito di comunità, di solidarietà, di condivisione culturale.
E’ chiaro che non è il caso di dare la voce a chi è fazioso, perché in quel momento l’istituzione perde la sua professionalità e il suo carattere di promotore del bene della persona umana e della società civile. Come tu stesso dici, bisogna puntare sulla qualità scientifica degli incontri e degli eventi che si svolgono all’interno dell’istituzione, ma bisogna anche incoraggiare il carattere di promozione umana, e non bisogna ridursi ad essere censori magari in base alle proprie opinioni e convinzioni etiche venendo meno allo stesso principio di neutralità (o perlomeno di “non faziosità”) che tu stesso affermi.
Come si fa allora a garantire una “non faziosità” all’interno di un’istituzione? Mi piace ricordare le riflessioni di John Madison a proposito, quando fu incaricato da Alexander Hamilton a contribuire allo studio della forma di governo più appropriata per garantire la democrazia. Nel numero 10 del “Federalista” affronta la questione della pericolosità delle fazioni nei confronti del bene comune, e si chiede se sia possibile eliminare le cause delle fazioni piuttosto che arginarne gli effetti. Rimuovere le cause però significherebbe distruggere la libertà. Rimane iconica la frase di Madison: “la libertà sta alla fazione come l’aria al fuoco”. La libertà però è essenziale per la vita politica. Altra soluzione sarebbe rendere la società omogenea nelle opinioni e negli interessi, ma anche questa ipotesi è altrettanto impraticabile. Dice Madison, “le cause latenti della fazione sono disseminate nella stessa natura dell’uomo”, per cui non si può pensare di eliminare le cause. Per cui l’unico modo di limitare i danni delle fazioni è quello di controllare gli effetti. La soluzione proposta da Madison è quella della “rappresentatività” tipica di una repubblica. Ecco che in effetti anche l’università si organizza con organi collegiali, con rappresentanze degli studenti e delle associazioni studentesche. Allo stesso tempo associazioni e istituzioni esterne che offrono servizi utili all’istituzione possono stipulare accordi e convenzioni che definiscono le modalità di erogazione degli stessi servizi e che garantiscono a loro l’effettiva possibilità di erogare lo stesso servizio. Così è avvenuto tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica con la firma dei patti lateranensi nel 1929 e con gli altri accordi successivi. Per questo la Chiesa cattolica intesse rapporti di diplomazia con i vari paesi del mondo, inviando i nunzi apostolici e accogliendo gli ambasciatori dei vari paesi presso lo Stato del Vaticano. Qualche volta può bastare anche la fiducia dei rapporti tra le istituzioni, senza dover siglare specificamente un accordo, può esserci un riconoscimento vicendevole sulla base dei servizi apportati. Ecco che la Chiesa cattolica con le sue rappresentanze, con le sue diocesi e i suoi enti ecclesiastici, con le sue associazioni laicali, offre oggi come sempre servizi significativi alle istituzioni universitarie con o senza convenzioni, in base al servizio offerto: studentati, borse di studio, convegni scientifici internazionali e locali, viaggi culturali, corsi di formazione professionale… L’elenco non è esaustivo e potrebbe continuare ben oltre, ma ci fermiamo a fare appena qualche accenno.
Pertanto quando tu accenni ai “singoli schieramenti confessionali”, stai indicando la Chiesa cattolica come una fazione all’interno della società. Non mi metto a fare un’apologetica sulla questione se il cattolicesimo sia da considerare una fazione o meno, mi fermo a considerare se il cattolicesimo offra o meno un contributo utile alla società e in particolare a quella forma di società che è l’istituzione universitaria. Se teniamo conto che la Chiesa cattolica come istituzione gode di accordi diplomatici con lo Stato italiano e con vari paesi del mondo, e che gode di accordi istituzionali con tantissime istituzioni laiche, allora direi che goda di una certa dignità che evita di farla cadere nella categoria di “fazione dannosa” alla società. E direi che con questo abbiamo già dato risposta a tal quesito.
Nel frattempo, i due avventurieri erano arrivati in cima alla montagna. Scesi dalla seggiovia che li aveva trasportati senza alcuna fatica al punto di partenza per la loro discesa, si accinsero a lanciarsi verso valle godendo dell’ebbrezza di quella natura che trasformava un clima tanto frigido in un’atmosfera capace di temprare il corpo e, chissà, forse anche lo spirito.
Grazie! E’ certamente interessante! 🙂
Direi che l’anonimo estensore è davvero salito in alto… per poi scendere dalle vette dei principi alle valli della loro quotidiana verifica e applicazione!
Buon lavoro,
Ernesto