Alcuni anni fa, stavo preparando un incontro con un gruppo di giovani della parrocchia di Santa Galla (per essere precisi, era martedì 6 febbraio 2007!); il tema dell’incontro era lo stesso titolo di questo “post”. Difficilmente butto via fogli di incontri preparati, e così ora che mi sto sistemando nella nuova parrocchia e in un nuovo ufficio, questo foglio mi è capitato fra le mani. Mi piace condividerlo, perché è una raccolta interessante; ma metterlo in rete, oltre a condividerlo con gli altri, diventa anche per me un modo per ritrovarlo più facilmente in seguito.
– personaggi biblici
Nella Bibbia troviamo alcuni esempi di innocenti in carcere: Giuseppe il sognatore; i tre giovani Sadràch, Mesàch e Abdènego; Giovanni il Battista; San Paolo (il quale si dà l’appellativo di “prigioniero di Cristo Gesù”: Ef 3,1; 4,1; Col 4,3; 2 Tim 1,8; Fil 1,1; 1,9). Per tutti questi, l’esperienza del carcere è stata occasione per vivere l’affidamento nelle mani del Signore.
– Carcere e Conversione (Jacques Fesch)
Non voglio certamente dire che è il carcere in quanto tale a cambiare le persone, anzi. Ritengo però interessante ricordare la testimonianza di un carcerato che ha vissuto un’esperienza di conversione. Jacques Fesch ha avuto un suo incontro personale con Dio mentre incarcerato giustamente per un crimine da lui perpetrato, e ha ritrovato la sua fede. Jacques Fesch nasce il 6 aprile 1930 a St. Germaine-en-Laye, vicino a Parigi, da una ricca famiglia di origine belga. Educato cristianamente ma debole di carattere e sviato dall’esempio del padre, ateo e cinico banchiere di successo, a 17 anni perde la fede e si avvia verso una giovinezza priva di ideali e di freni morali. A 21 anni sposa civilmente Pierrette Polack, che da lui aspetta un bambino. Dopo il fallimento di vari tentativi sul lavoro, lascia la moglie e la figlia nauseato da una vita senza senso nella quale non riesce a trovare la felicità.
Sogna di evadere dalla realtà soffocante che lo circonda e di andare a navigare nel Pacifico e, per procurarsi il denaro necessario all’acquisto della barca, progetta una rapina ad un cambiavalute. Ma qualcuno dà l’allarme e, nel panico dell’inseguimento, Jacques uccide un agente di polizia e viene arrestato. Comincia cosi un lungo calvario che, dopo tre anni di carcere preventivo, lo porterà alla condanna a morte, il giorno stesso del suo ventisettesimo compleanno, ed infine alla ghigliottina il 1° ottobre 1957, Ma nella solitudine della sua cella Jacques viene toccato dalla grazia e incontra “Colui che instancabilmente attende coloro che ama e che aspettava che io arrivassi, incespicante sotto il peso della mia croce”; incontra l’amore e la misericordia di Dio, e scopre sulla sua persona che la croce di Cristo “è la testimonianza dell’amore di Dio per noi”. “Con gli occhi fissi sul Crocifisso” salirà faticosamente la sua via dolorosa per divenire “sempre più a sua immagine”, fino ad arrivare con Lui alla cima del Calvario, alla vetta dell’Amore:
“Ho ben meditato la Passione questa mattina e ne ho tratto molta forza. D’altronde bisognerà che mi avvicini un po’ più a Gesù crocifisso, poiché anch’io, sebbene del tutto indegno, avrò la grazia di vivere il mio piccolo Golgota.” (Diario, 13 settembre 1957).
I suoi scritti dal carcere, pubblicati a partire dagli anni settanta, riveleranno un aspetto insospettato della personalità e dello straordinario cammino di fede di Jacques, suscitando anche numerose conversioni. Il 21 settembre 1987 il Cardinale di Parigi, Jean Marie Lustiger, aprirà l’inchiesta diocesana in vista della beatificazione.
Il carcere si avvicina al martirio quando è vissuto a testimonianza della fede in Gesù, e chi ne fa esperienza viene considerato un “confessore della fede”, uno cioè che confessa non soltanto con le labbra ma anche con la sua stessa vita la fede nel Signore.
San Giovanni della Croce per esempio ha vissuto l’umiliante esperienza del carcere, e per di più da parte dei suoi stessi confratelli. Giovanni nacque nel 1542 a Fontiveros in Spagna; quando aveva 21 anni entrò tra i carmelitani. La vita religiosa del convento non corrispondeva alle sue aspettative, e così pensava di cambiare Ordine, di andare forse tra i Certosini che avevano uno stile di vita più eremitico. Nel 1568 incontrò santa Teresa di Gesù (Teresa di Avila), la quale ha suscitato in lui l’interesse per una riforma del’ordine del Carmelo. I suoi confratelli però si opposero duramente, giungendo persino a metterlo per nove mesi in prigione per cercare di farlo rinunciare alla Riforma. Nel buio del carcere di Toledo egli scrisse i suoi poemi mistici più belli; i suoi scritti successivi più noti, ossia la “Salita al Monte Carmelo”, la “Notte Oscura”, il “Cantico Spirituale”, e la “Fiamma d’Amor Viva”, sono dei commentari a quelle sue poesie originarie. I patimenti che dovette ancora sopportare negli anni successivi lo aiutarono ad unirsi ancor più profondamente a Dio e lo condussero alla cima della vita mistica. Morì il 14 dicembre 1591 nel convento di Ubeda. Nell’anno 1726 venne canonizzato e nell’anno 1926 venne proclamato dottore della Chiesa universale.
Possiamo ricordare anche le vittime dei campi di concentramento, tra i quali spiccano alcune figure di santi: San Massimiliano Kolbe (14 agosto 1941), Santa Edith Stein (9 agosto 1942).
“il 15 agosto 1975, festa dell’Assunta, a Hochiminville (già Saigon) sono stato invitato a recarmi al Palazzo della Presidenza, il «Palazzo dell’Indipendenza». Là sono stato arrestato. Erano le ore 14. In quel momento, tutti i sacerdoti, i religiosi e le religiose erano stati convocati al Teatro dell’Opera, allo scopo di evitare ogni reazione da parte del popolo. Inizia così per me una nuova e specialissima tappa della mia lunga avventura. Sono partito da casa vestito con la tonaca, con un rosario in tasca. Durante il viaggio verso la prigione, mi rendo conto che sto perdendo tutto. Non mi resta che affidarmi alla Provvidenza di Dio. Pur in mezzo a tanta ansia, sento una grande gioia: «Oggi è la festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria in cielo». Da quel momento, è vietato chiamarmi «vescovo, padre… ». Sono il signor van Thuan. Non posso più portare nessun segno della mia dignità. Senza preavviso, mi viene chiesto, anche da parte di Dio, un ritorno all’essenziale. Nello choc di questa nuova situazione, a faccia a faccia con Dio, sento rivolgermi da Gesù questa domanda: “Simon, quid dicis de me? – Simone, chi dici che io sia?” (cf Mt 16,15). Nella prigione, i miei compagni, non cattolici, vogliono capire “le ragioni della mia speranza”. Ma chiedono, in tutta amicizia e con buona intenzione: “Perché lei ha abbandonato tutto: famiglia, potere, ricchezze per seguire Gesù? Ci deve essere un motivo molto speciale!”. I miei carcerieri invece mi chiedono: “Esiste Dio veramente? Gesù? È una superstizione? È un invenzione della classe degli oppressori?”. Allora, bisogna dare spiegazioni, in modo comprensibile, non con una terminologia scolastica ma con le parole semplici del Vangelo.” Dopo il mio arresto, nell’agosto del 1975, vengo trasportato durante la notte da Saigon fino a Nhatrang, un viaggio di 450 km, in mezzo a due poliziotti. Ha inizio l’esperienza di una vita da carcerato: non ho più orario. Un proverbio vietnamita dice: Un giorno in prigione vale mille autunni in libertà. L’ho sperimentato: in prigione tutti aspettano la liberazione, ogni giorno, ogni minuto. In quei giorni, in quei mesi tanti sentimenti confusi mi arrovellano la mente: tristezza, paura, tensione. Il mio cuore è lacerato per la lontananza dal mio popolo. Nel buio della notte, in mezzo a questo oceano di angoscia, piano piano mi risveglio: “Devo affrontare la realtà. Sono in prigione. Se aspetto il momento opportuno per fare qualcosa di veramente grande, quante volte mi si presenteranno simili occasioni? C’è una sola cosa che arriverà certamente: la morte.Occorre afferrare le occasioni che si presentano ogni giorno, per compiere azioni ordinarie in modo straordinario”. Nelle lunghe notti in prigione, mi rendo conto che vivere il momento presente è la via più semplice e più sicura alla santità. Nasce da questa convinzione una preghiera: “Gesù, io non aspetterò; vivo il momento presente, colmandolo di amore. La linea retta è fatta di milioni di piccoli punti uniti l’uno all’altro. Anche la mia vita è fatta di milioni di secondi e di minuti uniti l’uno all’altro. Dispongo perfettamente ogni singolo punto e la linea sarà retta. Vivo con perfezione ogni minuto e la vita sarà santa. Il cammino della speranza è fatto da piccoli passi di speranza. La vita di speranza è fatta di brevi minuti di speranza. Come te, Gesù, che hai fatto sempre ciò che piace al Padre tuo. Ogni minuto voglio dirti: Gesù, ti amo, la mia vita è sempre una “nuova ed eterna alleanza” con te. Ogni minuto voglio cantare con tutta la Chiesa: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo… “.
Il Cardinale van Thuan ha saputo trarre forza dalla Parola di Dio. Non avendo appresso una copia della Bibbia, riuscì a farsi portare di nascosto da un ragazzo alcuni pezzetti di carta sui quali ha potuto scrivere più di 300 frasi della Sacra Scrittura che si ricordava a memoria. Ci testimonia che “la Parola di Dio, così ricostruita, è stata il mio vademecum quotidiano, il mio scrigno prezioso da cui attingere forza e alimento”. Ha saputo vivere l’amore cristiano per i suoi persecutori; la sua affabilità verso i suoi carcerieri li ha conquistati alla fine alla sua amicizia. Ha saputo trovare nel carcere, dice, la sua “più bella cattedrale”. Ha vissuto l’abbandono di Gesù sulla croce, ma insieme l’affidamento nelle mani del Padre. Ha sentito la fatica della preghiera, ma ne ha saputo vivere l’essenza nell’abbandonarsi a Dio. Con il Pellegrino russo ha cercato di vivere così una preghiera costante, ha cercato di essere preghiera. Riuscì a farsi portare del vino camuffato da medicina per poter celebrare di nascosto l’Eucaristia e si univa all’offerta di Gesù.