Ebbene, questo è uno dei primi pensieri a cui ho accennato nella mia omelia stamattina. Siccome l’omelia oggi è stata un po’ lunga e un po’ ripetitiva, un po’ prolissa, e qualcuno mi faceva cenno che forse mi dilungavo troppo, dopo la Messa un amico del gruppo famiglie mi ha detto, “perché non scrivi l’omelia su twitter o sul blog, così la vediamo con calma e forse la seguiamo un po’ meglio”, ebbene l’ho preso sulla parola e ora butto giù qualche pensiero. Ci sono tanti elementi molto belli e interessanti di questo periodo dell’anno, posso accennare a solo alcuni aspetti… Eccoli qui per iscritto, anche se a vostro rischio e pericolo, perché se sono qualche volta prolisso quando parlo, lo sarò ancora di più quando scrivo, perciò prendetevi un bel fiato… Anche se credo che spezzerò la riflessione in più articoli per non appesantire troppo… Allora ecco la “prima puntata”.
L’ottava di Pasqua, un unico grande giorno
Dicevamo che questo giorno chiude l’ottava di pasqua. Sono otto giorni che celebriamo solennemente la Pasqua quasi che fosse un unico grande giorno. La liturgia nella sua ritualità trascende il tempo, e ci proietta nel tempo di Dio, nell’eternità. Per cui il tempo è vissuto qualche volta in modo diverso. Se nella nostra vita umana quotidiana la nostra giornata è fatta sempre e solo di 24 ore, nella liturgia invece qualche volta prendiamo otto giorni come se fossero un unico giorno. Tant’è che nella preghiera eucaristica, nel momento in cui si fa menzione della pasqua, nella Messa della Veglia diciamo “in questa notte in cui il Signore Gesù è risorto con il suo vero corpo”, mentre nella Messa del giorno di Pasqua e per tutti gli otto giorni successivi fino alla Domenica in Albis diciamo “in questo giorno nel quale il Signore Gesù è risorto con il suo vero corpo”. Poi dalla Domenica in Albis fino alla Pentecoste diciamo “in questo tempo nel quale il Signore Gesù è risorto con il suo vero corpo”.
(Devo mettere un punto, sennò la frase diventa troppo lunga, anche se non ho concluso il pensiero 🙂 )
Riprendo: le donne sono andate presto la mattina nel “giorno dopo il sabato, il primo della settimana” ad imbalsamare il corpo di Gesù. Per gli ebrei il giorno festivo era il sabato. Se l’anno è stabilito in base alla ruotazione della terra intorno al sole, il mese è stabilito in base alle fasi lunari, il giorno è stabilito in base alla ruotazione della terra sulla propria asse, la settimana invece non ha un riferimento specifico nella natura. Da dove deriva allora la settimana? Dai tempi antichi noi usiamo dividere il nostro tempo in “settimane” ossia gruppi di sette giorni. Da sempre nelle culture antiche il numero sette era considerato un numero sacro. Per gli ebrei la settimana era legata al racconto della creazione del mondo, “in sei giorni il Signore Dio fece il cielo e la terra, e nel settimo si riposò”. Mentre possiamo concedere tranquillamente che non erano sette giorni di fatto (anche perché non esistevano i giorni prima della creazione / formazione della terra e dei pianeti intorno al sole), ci rendiamo anche conto che il solo fatto di dividere il nostro tempo in settimane aveva per gli ebrei una valenza quasi sacra. “Nel settimo giorno si riposò”, il settimo giorno acquista più degli altri una valenza sacra, un giorno dedicato a Dio solo, in cui anche noi ci riposiamo dal nostro lavoro come lo ha fatto Dio. Il settimo giorno è lo “shabbat”, che corrisponde al nostro sabato che da qui prende origine. Mentre gli altri giorni della settimana vengono denominati in base ai pianeti e quindi alla mitologia greca, il sabato invece è rimasto legato al settimo giorno ebraico dello “shabbat”. Nei comandamenti scritti dal dito di Dio sul Sinai, troviamo uno che riguarda specificamente l’osservanza dello shabbat. Si veda Esodo 31:12-17; si veda il terzo comandamento del decalogo in Esodo 20:8.
Il trasferimento del giorno sacro
Se era “volontà espressa” di Dio osservare il giorno settimo come giorno religioso, scritto persino nei dieci comandamenti che valgono per tutti i tempi, allora per quale motivo noi cristiani abbiamo la domenica come “giorno sacro”? Perché non abbiamo mantenuto il sabato? Il Vangelo ci racconta che Gesù è risorto “il giorno dopo il sabato, il primo della settimana”. Ed è per ricordare questo avvenimento che ha preso il nome “Domenica”, ossia “giorno del Signore”, “dies dominicus”, anche se nella cultura anglo-sassone è rimasto il nome legato alla mitologia greca ossia “Sunday”, il giorno del Sole.
Ci possiamo ancora chiedere, per quanto sia importante per i cristiani il ricordo della risurrezione di Gesù, poteva giustificare un trasferimento del “giorno sacro” dal sabato indicato nel comandamento di Dio alla domenica? Questo trasferimento del giorno sacro è avvenuto però non in base ad una scelta arbitraria delle prime comunità cristiane, ma proprio considerando che nei racconti evangelici, dopo la sua risurrezione, Gesù appare ai suoi discepoli sempre nel “giorno dopo il sabato, il primo della settimana”, e spezza con loro il pane come aveva fatto nell’Ultima Cena. Pertanto gli apostoli e le prime comunità cristiane hanno compreso come volontà (implicita?) di Gesù quella di osservare la domenica in sua memoria.